di Giulio Baldi – Avvocato
Il principio di riservatezza rappresenta, nell’ambito del procedimento di mediazione, un aspetto fondamentale ed imprescindibile.
L’art. 9 del D.lgs. 28/2010 stabilisce un vero e proprio dovere di riservatezza a carico del mediatore e più in generale di chiunque presti la propria opera o servizio all’interno dell’organismo di mediazione o comunque nell’ambito del procedimento.
In particolare la norma testè citata distingue tra riservatezza cosiddetta “interna” al procedimento, che impegna il mediatore a non rivelare ad una delle parti notizie e circostanze che gli sono state confidate dall’altra nel corso delle sessioni separate, salvo il consenso di quest’ultima, e riservatezza cosiddetta “esterna” per cui è fatto divieto al mediatore di divulgare a chiunque quanto occorso durante la procedura.
Inoltre l’art. 10 del D.lgs. 28/2010 sancisce poi l’inutilizzabilità nel giudizio delle dichiarazioni rese dalle parti e delle informazioni acquisite durante lo svolgimento della mediazione e il divieto di introdurre prova testimoniale o giuramento decisorio sulle medesime circostanze.
Infine il predetto Decreto prevede che il mediatore non possa essere costretto a deporre, innanzi all’autorità giudiziaria, sulle dichiarazioni o comunque sulle informazioni acquisite nel corso della mediazione a lui affidata, tanto che vengono estese alla figura del mediatore le disposizioni previste dall’art. 200 del codice di procedura penale sul segreto professionale e l’art. 103 del medesimo codice di rito che tutela le garanzie di libertà del difensore.
La garanzia della riservatezza interna ed esterna del procedimento e soprattutto la previsione normativa che prevede che né il soggetto che ha guidato il tentativo di conciliazione, né le parti o altri soggetti coinvolti nella gestione del procedimento possano testimoniare nel successivo procedimento giudiziario, in merito alle informazioni emerse nel corso della procedura di mediazione, rappresenta un aspetto tutt’altro che trascurabile dell’intera normativa che regola la materia. Infatti la sola possibilità che possano rimanere tracce, nel successivo ed eventuale giudizio in Tribunale, di quelle che sono state le concessioni reciproche delle parti, finirebbe per suscitare una sensazione di scarsa fiducia, se non di timore, nei confronti dello strumento della mediazione e probabilmente indurrebbe le parti stesse a non aderire neppure alla procedura.
È quindi fondamentale che sia garantita alle parti la certezza che esperendo il tentativo di mediazione, se questo poi fallisse, non si troverebbero danneggiate o svantaggiate nel possibile futuro giudizio.