Di Avv. Stefania De Marco
L’art. 4, comma 1, del D. Lgs. n. 28/2010 statuisce che la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2, ossia alle controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili, è depositata da una delle parti presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.
Il riferimento al “luogo” del giudice territorialmente competente per la controversia è frutto di una modifica introdotta dalla Legge n. 98/2013 al fine di scongiurare il pericolo che alla parte onerata dell’attivazione della mediazione venga concessa la facoltà di scelta dell’organismo di mediazione tra tutti quelli presenti nell’intero territorio nazionale, rischiando di rendere difficoltosa la partecipazione del convenuto e di frustrare così lo scopo stesso dell’istituto della mediazione, introdotto come strumento deflattivo del contenzioso.
Ebbene, sul tema della competenza territoriale degli organismi di mediazione è di recente intervenuto il Tribunale di Pavia (Sentenza del 21 giugno 2022, n. 890) al quale, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per il quale era stata concessa la provvisoria esecuzione, veniva richiesta la declaratoria di improcedibilità della domanda monitoria stante l’inidoneità della procedura di mediazione disposta dal giudice in quanto esperita dalla parte opposta presso un organismo territorialmente incompetente.
Proprio sulla base del disposto dell’art. 4, comma 1, del D. Lgs. n. 28/2010, il Tribunale di Pavia, disattendendo l’eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dalla parte opponente, e condannando quest’ultima al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo pari a quella del contributo unificato dovuto per il giudizio, ha statuito che ai fini della corretta applicazione della norma in esame “non rileva la circostanza che l’organismo stesso abbia la propria “sede” in altro luogo se, come nella fattispecie, la partecipazione all’incontro di mediazione possa comunque utilmente avvenire -e, in effetti, avvenga- in luoghi vicini all’Ufficio adito”.
Nel caso di specie, l’organismo di mediazione presso il quale era stata presentata l’istanza, pur avendo sede in altro luogo rispetto a quello del giudice competente per la controversia (Monza), aveva sottoscritto l’accordo previsto dall’art. 7, comma 2, lettera c), del D.M. n. 180/2010 che gli consentiva di utilizzare la sede di altro organismo ubicata nel luogo del giudice competente per la controversia (Pavia). Peraltro, nel verbale di mediazione prodotto in giudizio si era dato espressamente atto che la sede utilizzata era stata messa a disposizione a seguito di accordo concluso con diverso organismo di mediazione, del quale era peraltro stata offerta idonea documentazione.
Analizzando a livello più generale il suddetto articolo 7, può mettersi in evidenza come esso attribuisca espressamente agli organismi di mediazione la facoltà di stipulare appositi accordi con altri organismi, in virtù dei quali viene concessa la possibilità – anche per singoli affari di mediazione – di avvalersi non soltanto delle strutture, ma anche del personale ed altresì dei mediatori di tali diversi organismi.
Peraltro giova evidenziare che, in attuazione della riforma Cartabia (D.lgs. n. 149/2022), è intervenuta la Circolare del Ministero della Giustizia del 5 aprile 2023 contenente i requisiti per il mantenimento dell’iscrizione del registro degli organismi di mediazione civile e commerciale, la quale, tra i requisiti di adeguatezza che dovranno possedere gli organismi di mediazione, vi è la presenza di almeno due sedi operative “site in province o regioni diverse, detenute in virtù di un titolo stabile, ovvero in virtù di accordi stipulati -se previsto dal regolamento dell’organismo- ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lett.c) del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, eventualmente condivise (se diverse dalla sede legale) con altri enti che svolgano attività compatibile secondo i codici ATECO e idonee all’espletamento del servizio di mediazione…”.
L’accordo in parola può dunque rivelarsi uno strumento molto utile per gli organismi di mediazione, specie in sede di adeguamento degli stessi ai suddetti requisiti di permanenza nei registri, oltre che per le parti in quanto in grado di semplificare, a livello pratico, lo svolgimento delle procedure di mediazione.